IL PRETORE
    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza n. 16290/91 reg. not. reato
 n. 61266/91 reg. dibatt., Giuliano Luciano veniva tratto  all'odierna
 udienza a giudizio direttissimo ai sensi dell'art. 449, quarto comma,
 del  c.p.p.  (essendo  stato  convalidato  il  suo arresto davanti al
 g.i.p. di Taranto in data 17 giugno 1991) per  il  reato  ascrittogli
 nel   capo   d'imputazione.  Preliminarmente  il  p.m.  ha  sollevato
 questione di legittimita' costituzionale relativamente all'art.  566,
 nono  comma,  del  codice  procedura  penale.  Il pretore, sentite le
 parti,  ha  provveduto  sull'eccezione  sollevata  con  la   presente
 ordinanza.
    Va   dichiarata   non  manifestamente  infondata  e  rilevante  la
 questione di legittimita' costituzionale - in riferimento agli  artt.
 3  e 24 della Costituzione - dell'art. 566, nono comma, del codice di
 procedura penale (secondo cui "fuori  dei  casi  previsti  dai  commi
 precedenti,  il pubblico ministero procede a norma del titolo secondo
 del  presente  libro")  in   quanto   esclude   l'applicabilita'   al
 procedimento  pretorile della disciplina del rito direttissimo di cui
 all'art.  449  del  codice  di  procedura  penale,  con   particolare
 riferimento  all'ipotesi  di  cui  al  quarto  comma  di quest'ultimo
 articolo  (presentazione  dell'imputato  all'udienza  non  oltre   il
 quindicesimo  giorno  dall'arresto  dopo  la  convalida di arresto in
 flagranza).
    Infatti nessun dubbio sorge, in giurisprudenza e in dottrina,  sul
 fatto  che  il nono comma dell'art. 566 del c.p.p. impedisce da parte
 del p.m. l'utilizzo, nel  procedimento  pretorile,  della  forma  del
 giudizio direttissimo di cui al quarto comma del 449 del c.p.p.
    Ora  tale  esclusione  pone  una grave situazione di disparita' in
 quanto l'imputato nel procedimento pretorile (per il  quale  il  p.m.
 non  ha  ritenuto  -  come  nel  suo  diritto  -  di  dover procedere
 contestualmente  con  giudizio  di  convalida  e  direttissimo)   non
 potrebbe usufruire di una ulteriore scelta del p.m. che lo conducesse
 a  giudizio nel termine massimo di quindici giorni, come e' possibile
 invece per gli imputati di reati  di  competenza  del  tribunale.  La
 situazione  di  disparita'  si evidenzia sia per la maggior durata in
 se' del processo, da instaurare con il rito ordinario  e  quindi  con
 termini  piu'  lunghi, sia per il protrarsi della custodia cautelare,
 come avviene nel caso di specie.
    Tale disparita' non lederebbe il principio costituzionale  di  cui
 agli  artt.  3  e  24  della  Costituzione  se  fosse giustificata da
 un'adeguata ratio. Nei lavori preparatori al codice ed in particolare
 nella relazione la giustificazione viene individuata nel fatto che la
 procedura prevista dall'art. 449, quarto comma, del c.p.p.  e'  parsa
 poco  congeniale  alla  massima  semplificazione  del procedimento in
 pretura, nel senso che in tale sede la regola e' la cotestualita' tra
 convalida  e  giudizio  direttissimo.  Ora,  come  osserva  la  Corte
 costituzionale nella sentenza dell'11 marzo 1991, n. 102, se e'  vero
 "che  il  nuovo  codice  di  procedura penale e' caratterizzato da un
 evidente  favor  nei  confronti   dei   procedimenti   differenziati,
 nell'ambito  dei quali, in particolare, la possibilita' di ricorso al
 giudizio  direttissimo  sono  state  ampliate  rispetto   al   codice
 abrogato, anche in considerazione della 'accentuata caratterizzazione
 (di  tale  giudizio)  sugli  schemi  del  processo  accusatorio'  (v.
 relazione al progetto preliminare) va osservato che l'esclusione  del
 processo  di pretura del rito direttissimo in alcune ipotesi andrebbe
 sorretta, onde evitare ingiuste discriminazioni, da  un'adeguata  ra-
 tio,  strettamento connessa con la struttura e le caratteristiche del
 processo pretorile".
    Ora le motivazioni del legislatore sopra riportate non  rispondono
 ai  criteri  dettati  dalla  sentenza  della  Corte. Infatti i motivi
 addotti  non  tengono  conto   del   fondamentale   principio   della
 discrezionalita',   da   parte   del  p.m.,  nella  scelta  del  rito
 direttissimo. Dopo l'arresto in flagranza dell'imputato il p.m. e' il
 dominus del procedimento, potendo egli liberamente procedere  per  la
 contestuale   convalida  e  giudizio  oppure  chiedere  la  convalida
 dell'arresto e poi proseguire per  via  ordinaria.  Sussistendo  tale
 liberta'  l'impossibilita' di applicazione del 449, quarto comma, del
 c.p.p. al procedimento pretorile non comporterebbe, di per  se',  una
 necessaria  contestualita'  tra  convalida  e  giudizio.  Quale senso
 avrebbe allora privare  l'imputato,  arrestato  in  glagranza  e  non
 giudicato  contestualmente,  della  possibilita' di avere un giudizio
 nel termine massimo di quindici giorni? Anzi si puo' affermare che la
 scelta del legislatore potrebbe avere un effetto  di  "complicazione"
 del  procedimento  nelle  ipotesi  in  cui  le circostanze, che hanno
 indotto il p.m. a non volere immediatamente il giudizio direttissimo,
 si siano modificate in breve termine. Allo stato attuale il p.m.  non
 potrebbe  fare  altro che procedere per vie ordinarie con le relative
 conseguenze in tempi processuali.
    La  questione   di   costituzionalita'   oltre   ad   essere   non
 manifestamente   infondata  e'  rilevante  poiche'  il  giudizio  non
 potrebbe essere  definito  senza  risolvere  la  proposta  questione.
 Infatti  da  essa  dipende  se procedere con rito direttissimo oppure
 rinviare gli atti al p.m. perche' proceda con rito ordinario.
    L'accoglimento dell'eccezione  del  p.m.  comporta  la  necessaria
 sospensione del processo.